mercoledì 26 giugno 2019

Zero waste e frugalità

(in foto...un'autoproduzione fatta in treno)

Da qualche tempo si sente insistere spesso sul concetto di zero waste.
Ma cos’è questo famigerato ‘zero waste’? Letteralmente è ‘zero spreco’. Di tempo, di immondizia, di plastica usa e getta…ma soprattutto di soldi.
Per chi ama la filosofia di vita frugale, è normalità assoluta essere a zero spreco. La frugalità è proprio l’essere sobri, minimalisti, capaci di temperanza, l’essere produttivi…e sì, sicuramente lo spreco in questo stile di vita non è contemplato! ma chissà, forse il termine frugalità piace meno per la sua connotazione da quaccheri poco modaioli...
Ma quanto si risparmia ad essere zero wasters, per gli amanti dell’italiano “non spreconi”? per capirlo meglio mi sono iscritta alla rete Facebook per capire i capisaldi di questi personaggi ormai alla moda.
Allora siete pronti?… se volete essere zero wasters dovete…
 
  1. Cominciare a bere acqua del rubinetto
  2. Tagliare l’usa e getta! No ai fazzoletti di carta, vaschette di alluminio, tovagliolini di carta…
  3. Portarsi la sportina della spesa
  4. Comprare il più possibile sfuso
  5. Usare spazzolini in bambù
  6. Riparare ciò che è rotto
  7. Congelare le porzioni in più di cibo in contenitori rigidi
  8. Ritornare alla moka
  9. Acquistare meno
  10. Autoprodurre ciò che si può
 
E sapete qual è la cosa bella? Che da brava ‘frugalistah’ già facevo (quasi) tutto, ad esclusione dello spazzolino in bambù …che diciamocelo, non è poi così facile da trovare!

  • Per il resto potete scegliere acqua del rubinetto, ma anche delle casette dell’acqua ormai molto diffuse sul territorio italiano, utilizzando la tessera sanitaria o pochi centesimi potrete fare scorta idrica. Per non parlare di quanto sono fashion le borraccette d’acqua di alluminio, che ‘uscite dalla borsa’ scintillando abbagliano molto più della bottiglietta di plastica che fa scaldare il liquido e chissà cosa diavolo rilascia…
  • L’uso del ‘non usa e getta’ è poco diffuso invece. Devo dire che molte persone anche in ufficio mi guardano stranite quando tiro fuori le mie posate d’acciaio, o il fazzoletto di stoffa…e menomale che non aprono la pochette dove fa bella mostra di sé l’assorbente lavabile!  eppure secondo me usare beni durevoli è proprio un piccolo lusso alla portata di tutti. Perché usare – a costo più alto – le posate di plastica che oltretutto possono rompere i rebbi della forchetta e diventare pericolose? Perché mettere cellulosa e plastica sulle parti di pelle più delicata (come naso o …altro )…? La stoffa è molto più morbida. Le vere posate e i veri piatti, molto più piacevoli. E tutto sommato visto che non laviamo a mano, ma con la lavatrice …dov’è il problema di utilizzare quelli? E nessuno osi dire cose tipo: “eh ma anche lavando si impatta sull’ecosistema”. Certo. Anche respirando si produce anidride carbonica, quindi? Smettiamo di respirare? …il punto è cercare soluzioni praticabili. Un detersivo poco impattante sull’ambiente, magari sfuso, magari usato in quantità minime, magari con ingredienti biodegradabili, non avrà mai lo stesso impatto di un prodotto usa e getta magari in plastica, che si decompone in secoli.
  • La sportina della spesa è un must, specie se si lavora un po' lontani da casa. Parto la mattina con frutta, schiscetta per il pranzo, varie ed eventuali nella sportina…e a seconda della piega che prende la giornata  la sportina finisce ripiegata in borsetta o resta lì, riempita magari della frutta dell’orto urbano con cui collaboro, di qualche acquisto...ma mi accompagna sempre.
  • Comprare sfuso invece è un punto in cui voglio migliorare. Sì, frutta e verdura li compro sfusi…e mi sono organizzata con una collega per comprare le retine di Naturasì, che consentono di aggirare il sacchettino di mater bi (che bello, sì, compostabile…ma una volta appiccicata l’etichetta in carta chimica – che compostabile non è – comunque è andato tutto a vacca, ivi compreso lo smaltimento della mater bi. Che è un rifiuto da qualsiasi parte vogliate girarla). Però ci sono negozi che vendono anche pasta sfusa, riso, legumi, frutta secca…ma io non li trovo. Dove siete? dove vi nascondete? perché non proliferate in tutta Italia?
  • Spazzolini in bambù…niente, anche qui. Ma dove si trovano? Vietato rispondere ‘online’. Grazie al ca…ppero, quando si compra online c’è un citrullino che salta su un furgone e vi porta a casa due spazzolini. Di bambù, va bene, si decompongono. Ma sempre due spazzolini per i quali sono state spese spedizioni aeree e trasporto su gomma e imballo cartaceo/ plasticoso. Cioè alla fine quei due spazzolini di bambù avranno inquinato pure loro!!! Nel frattempo sto tenendo botta con lo spazzolino tradizionale, sperando che presto si diffondano gli spazzolini di bambù anche nei negozi di vicinato…
  • Riparare – e qui, va benino. Il mio impedimento è…mio marito, che spesso mi dice “beh, ti costa più riparare questo oggetto che comprarlo nuovo!”. Cosa che a volte è pure abbastanza vera. MA c’è il tema dell’affetto. Amare gli oggetti che si hanno, viverli con amore, curarli...questa cosa va ben oltre all’andare ed acquistare, sia pure conferendo all’isola ecologica quel che è rotto per il riciclo dei pezzi di ricambio. Dove ho mano libera (come risuolare le mie scarpe, aggiustare la zip della giacca o la fodera della borsa) cerco di aggiustare sempre ciò che posso. C’è un po’ più di conflitto se è un bene domestico, ma per fortuna qualche volta riesco a spuntarla io.
  • Congelare le porzioni in contenitori rigidi – qui il discorso degli zero wasters è: evitare il sacchetto da congelatore. Ma secondo me – e non me ne voglia nessuno – usarli è demenziale. DEMENZIALE. Se cucino una porzione di riso in più e posso portarla al lavoro, chiaramente preferisco metterla subito in una schiscetta che mi faciliti il trasporto verso il lavoro. 4 foglie di basilico stanno meglio conservate in un vasetto (magari di yogurt riciclato) che in un sacchettino di plastica. Ma che ce ne si fa di ‘sti sacchettini dalla consistenza di profilattico usato? Boh. Sono proprio scomodi.
  • Ritornare alla moka. A me le cialdine di nespresso piacciono solo per una cosa: si possono riutilizzare per fare i gioielli. Punto. Ma la moka è un’altra poesia. È profumo, è il borbottio che ti chiama in cucina, è la convivialità di dividere la tazza. È andare per mano con la mia bimba a comprare il caffè in grani alla torrefazione, farmelo macinare sul momento mentre lei e gli altri bimbi presenti in negozio sgranano gli occhi, è il pacchetto in borsetta che la fa profumare per giorni, anche se l’ho messo nel barattolo appena portato a casa. È svuotare il fondo su un piattino…e dividere equamente il tutto con le piante del mio giardino: un po’ a loro come fertilizzante e un po’ a me come scrub anticellulite.  E devo dire che funziona bene in entrambi i casi.
  • Acquista meno. Nessuno, nessuno vi dirà mai che liberazione sia imparare ad acquistare meno: nella nostra società acquistare è utile, è necessario, è un dovere sociale (“Fai girare l’economia!” vi dicono amici e parenti credendosi simpaticizzzzzimi). Non è così. Non è vero. Comprare, comprare tanto quanto ci dicono di comprare è un costume devastante non solo per l’ambiente ma soprattutto per la vostra psiche. Li ho avuti anche io come riti settimanali: il sabato dello shopping, il giro al centro commerciale la domenica con il fidanzato/marito, lo shopping ristoratore del dopo giornata stressante in ufficio, ‘ch’è stata una giornata di melma e me la merito una nuova borsa/paio di scarpe / gonna/ saDiocosa’. E appena l’attimo dopo, è svanita la gioia. La borsa è dozzinale, serve solo a intasare un armadio già fin troppo pieno. O peggio ancora è di gran firma, ma il vostro conto in banca ne ha già avuto abbastanza dei vostri "momenti no" quel mese e andrete pure in rosso appena pagata la rata dell’affitto. Dovrete nasconderla nell’armadio per un po’ perché se la becca vostro marito saranno pure discussioni…Chissà, forse se risparmiate sul cibo…e poi magari sulle scarpe, per una volta mica vi si rovineranno i piedi se comprate una scarpa dozzinale dal negozio cinese no??? Diventa un circolo vizioso fatto di debiti, di oggetti che vi tolgono l’aria, banali, che quasi odiate perché vi ricordano la volta che il vostro capo vi ha fatto lo shampo solo perché aveva litigato con la moglie e voi – per riprendervi – vi siete fumate nel giro di 5 minuti metà busta paga. Un circolo di cibo di origine dubbia comprato di corsa, solo per avere tempo di andare a comprare abiti di bassa qualità perché i precedenti si sono bucati, e con l’ansia di consumare troppa benzina nel tragitto tra un negozio e l’altro perché la carta di credito chiede pietà e…STOP. Stop perché sto girando il dito nella piaga, e sto tirando fuori dal mio personale dimenticatoio ricordi spiacevoli da cui, per fortuna, sono fuori da un po’. Oggi la mia terapia antistress post giornata brutta è una bella passeggiata lunga, magari nel verde, o nel quartiere a respirare i profumi di casa. Qualche volta incontro un conoscente per far due chiacchiere, ma spesso è bello star sola e pensare ai fatti miei. È tornare a casa e spazzolare il gatto, che dopo una seduta vigorosa mi fa le fusa riconoscente. È una doccia calda col sapone profumato e un massaggio con la mia crema corpo autoprodotta, è fare i biscotti o il pane o lo yogurt con mia figlia. È provare nuovi accostamenti coi miei 37 vestiti che stanno già nel guardaroba. È comprare una bella pianta aromatica per il giardino, chiacchierando con la signora simpatica del consorzio agrario, annusarla per tutta la strada e darci dentro con la paletta appena tornata a casa. È ascoltare musica. E sono tutte cose gratuite, che fanno sentire molto più rigenerati nel corpo e nello spirito rispetto a buttare soldi dalla finestra. Perché finalmente comprare diventa quello che deve essere: una scelta pensata, consapevole, di cose utili e in linea con le cose che davvero vogliamo nella nostra vita. E cominciamo ad apprezzare davvero gli oggetti che compriamo: la pianta aromatica. L’acido citrico per far l’ammorbidente. Il caffè macinato fresco. Il foulard vintage del mercatino dell’usato. La cannella per i biscotti. Ed è giusto amare ciò che compriamo, perché lo compriamo con soldi per i quali abbiamo barattato il tempo di cui è fatta la nostra vita. E il tempo alla fine è la cosa più preziosa che abbiamo...
  • Autoprodurre ciò che si può. Non è un caso che poco fa citatofuori alcune cose che mi piace comprare e che considero oggetti particolarmente degni di stima… per esempio l’acido citrico e gli olii essenziali che mi hanno regalato tante soddisfazioni, come quello del profumo fresco e durevole di menta sui miei panni stesi al sole. O il piacere di stendere la crema corpo fatta in casa con olio di mandorla e olio essenziale di lavanda. O struccarsi con un po’ di automassaggio con olio di girasole. O mangiare i miei biscotti alla cannella a colazione, intinti nel caffè della torrefazione. O il senso di freschezza del deodorante all’olio essenziale di eucalipto. O usare la mia borsa da palestra fatta di un vecchio jeans dismesso. O indossare una maglietta su cui ho cucito io stessa le decorazioni…Insomma voglio dire che fare da sé è un’altra cosa. Non sono solo i soldi ma potrei dirvi che se ne risparmiano davvero, davvero tanti. Non è solo la monnezza…anche se pensandoci, con poco olio in vetro, polvere contenuta in sacchetti di carta e due o tre boccettine ho evitato tanti flaconi di plastica, e tanti giri alla piattaforma ecologica, potrei dirvi di quel certo piacere di vedere i bidoni semivuoti, di poter portare fuori l'indifferenziata molto meno volte. Ma più di ogni cosa il'autoproduzione è la gioia di usare qualcosa di unico e artigianale, qualcosa che proprio per questo è prezioso. E penso che questo valga molto più del risparmio o del valore intrinseco dell’oggetto.

venerdì 7 giugno 2019

Svuota l’armadio


Questa primavera ho festeggiato i miei primi 3 anni di guardaroba capsula. Ho cominciato durante la gravidanza, 3 anni fa, per riuscire a essere presentabile in ufficio senza trovarmi a spendere un patrimonio per gestire una situazione tutto sommato transitoria…avevo già letto diversi articoli ispirati al Project 333 di Courtney Carver (vi consiglio la sua pagina fb Be more with less, altamente motivante per chi cerca una vita meno densa di cose e più di significato). La cosa mi aveva fatto dire “ma va’…impossibile!”…per poi diventare pian piano un “perché no?”

Mi sono messa alla prova e …non solo si può fare ma è molto, molto più divertente e creativo che non fare shopping continuamente! Far quadrare i conti per 3 mesi con un armadio di 33 pezzi (lo ammetto, io di solito ne uso 37…mi piace di più come numero) è stimolante, ti spinge a sfruttare tutto, ma proprio tutto quel che hai, anche con abbinamenti del tutto impensati.

 

Ma uno degli aspetti importanti per me è stato anche diventare più capace di leggermi dentro: capace di capire se quel pezzo che poi mi sono trovata a mettere di malavoglia non mi piace più, o semplicemente non è più adatto al mio stile di vita…o alla mia età (non ho mai avuto le cosce di Kate Moss, ma con l’ingresso negli anta e la gravidanza alle spalle quelle cosciotte sono più molli…e mi chiedono un po’ di pudicizia e gentilezza in più!)

 

Per questo ho imparato a badare a cosa, a fine stagione, non ho mai sfruttato. Se per tre mesi ho fatto a meno della gonna fru fru, forse è arrivato il momento di pensionarla, modificarla o…

Che si fa della gonna frufru che non metti più?

Opzione 1: se vecchiotta e malmessa, e ormai non più amata…la puoi tenere da parte e darla ai negozi che sempre più spesso organizzano campagne di raccolta degli abiti usati. Ad esempio OVS raccoglie ora gli abiti che non amate più, e per ogni sacco di abiti riceverete un buono sconto da 5 euro da usare su una spesa di almeno 40 euro. Se OVS non incontra i vostri gusti, sappiate che periodicamente Kiabi organizza una campagna di raccolta in collaborazione con la onlus Humana, e che anche Intimissimi indice campagne di raccolta per la biancheria intima (a proposito, devo rottamare i reggiseni!)

Opzione 2: se si è abili con ago e filo, si può provare a modificare. Questa è un’opzione valida soprattutto se vi piace il tessuto, la gonna è vissuta ma ancora ‘portabile’ e l’unica cosa che vi fa storcere il naso è la lunghezza, o il fatto che magari sia un po’ larga. Personalmente però valuto sempre quanto ‘il gioco valga la candela’, se la gonna vi piace ma non vi convince fino in fondo, se la modifica sarà costosa e richiede la manodopera di una sarta forse può valere la pena passare all’opzione 3…o 4!

Opzione 3: vendete il capo. Questa è un’ottima opzione soprattutto se: il capo è firmato e può avere una buona rivendibilità, è in buone/ottime condizioni e a voi proprio non piace (o non piace più). In questo caso, personalmente consiglio il mercatino dell’usato: portate i vostri capi e li dimenticate lì, salvo passare di lì a qualche tempo o attendere che vi contattino per comunicarvi la vendita. È bene però mettere in conto che si guadagna poco, sicuramente meno del previsto: chi frequenta i mercatini anche come acquirente sa che i capi lasciati in conto deposito per più di 60 giorni vedono ulteriormente decurtare il proprio prezzo. Quindi quell’abito che a voi è costato 200 euro, arriva a essere messo in vendita a 100, e a voi toccheranno solo 50 euro…ma dopo 60 giorni arriverete a 20 euro…e via dicendo. Se in vendita mettete un abito costato a voi 30 euro, capite che riuscite alla fine dei conti a portare a casa 3 euro è andata ancora bene. Ciò nonostante lo trovo apprezzabile rispetto a tenervi in casa degli abiti che non portate più e che vi rubano spazio, ossigeno e possibilità di riporre meglio gli abiti che davvero amate, portate e volete conservare. La vendita  in particolare è qualcosa che apprezzo molto rispetto ai vestiti di Pannolina. Per lo più gli abiti di Pannolina mi sono già arrivati di seconda o terza mano, ma in alcuni casi sono ancora così in buone condizioni che ci realizzassi pure un euro a capo, li riutilizzerei almeno di arricchire il suo guardaroba per gli anni a venire (col passare del tempo gli abiti delle amichette / cuginette vengono sfruttati più a lungo e arrivano da noi più difficilmente, perché non sono più in ottimo stato)…

Opzione 4: donate! Ai parenti, agli amici se sapete che possono apprezzare (soprattutto per i bimbi i vestiti smessi sono una mano santa per i portafogli, e da tenere in considerazione visto quanto velocemente i piccoli cambiano taglia dei propri vestitini). Ma anche alle associazioni benefiche. A voi torna spazio nell’armadio per far ‘star comodi’ i vestiti che decidete di tenere, e seriamente: quel pantalone che a voi non piace o non dona più può diventare un grande aiuto per qualcuno più in difficoltà. Chiaramente i vestiti devono essere comunque mettibili: ok un piccolo rammendo nascosto, ma voi lo indossereste un pantalone tutto rattoppato? Ed è giusto mettere una persona più povera nella condizione di dire ‘o questa minestra o salto dalla finestra’? siate pietosi, non metteteli in condizione e passate alle opzioni 5 o 6.

Opzione 5: riusate. Quella maglietta macchiata di vostro marito può diventare uno straccio. Il collant smagliato potete tagliuzzarlo e usarlo come spago per legare i pomodori o il sacco dell’immondizia. Se siete bravi con ago e filo, quel jeans sdrucito può diventare tante cose diverse: la sacca porta tappetino da pilates, o anche uno zainetto per il nido per Pannolina. Un cuscino patchwork. Una bustina portapenne. Insomma…se il tessuto è buono e l’abito è solo irrimediabilmente strappato in un altro punto, potete salvare qualcosa dalla discarica e risparmiare voi qualcosa che altrimenti dovreste comperare.

Opzione 6: riciclate. Le parti di tessuto rotte o rovinate possono essere riutilizzate: esistono centri che si occupano del recupero delle fibre tessili. Se avete visto il documentario ‘the true cost’ sapete che l’industria tessile è tra le più impattanti e inquinanti al mondo. Non possiamo permetterci di chiudere gli occhi di fronte a questa realtà. Ne va della nostra salute, e di quella dei nostri figli. Gli abiti, le scarpe non devono prendere mai semplicemente la via del bidone dell’indifferenziata, ma devono essere comunque conferiti negli appositi bidoni gialli.

…in merito all’opzione 6: non è tutto oro quel che luccica. I vostri abiti hanno vissuto a lungo con voi, li avete usati bene, li avete smaltiti correttamente. E nonostante tutto sappiate che potrebbero finire, vostro malgrado, ad alimentare un mercato dove finiranno per essere rivenduti a un prezzo spropositato in Africa, da parte delle associazioni mafiose. Come si esce da questo problema? …comprando meno. Semplicemente. A tutto vantaggio del vostro portafoglio, ma soprattutto a tutto vantaggio dell’inquinamento, dello spreco zero di risorse.